Essere femministe europee in Latinoamerica
Mi addormento ogni giorno con lo scroscio della pioggia copiosa che batte rumorosamente sui tetti in lamiera del vicinato, el agua lluvia, come la chiamano qui, arriva puntuale dopo il canto dei galli – ed io che pensavo che cantassero solamente all’alba – e il latrato dei tanti cani randagi, che per qualche strana ragione cosmica parte all’unisono più o meno alla stessa ora della notte.
Notte, poi, intendiamoci: tutto questo concertino inizia intorno alle dieci e mezza o undici di sera, l’orario in cui in Spagna ero abituata a cenare; qui le giornate cominciano prima e, di conseguenza, terminano prima: ci sono esattamente dodici ore di luce e dodici di buio, tutto l’anno – non a caso ci troviamo sull’Equatore -, a Lago Agrio c’è il coprifuoco da mesi e sto sperimentando una vita quasi monastica che non si vedeva dai tempi del liceo.
Oggi faccio una cosa rivoluzionaria: cammino per strada con la musica negli auricolari; infrango, tutte insieme, varie regole che mi sono state imposte, ma ho deciso che non vivrò con el miedo per un intero anno qua. La recentissima lettura della Teoria King Kong ha sicuramente giocato un ruolo determinante nel prendere una tale decisione, mi ha infuso quella giusta dose di rabbia che alimenta il coraggio.
Las calles también son nuestras recita un noto coro femminista che intoniamo a gran voce durante le proteste, per affermare soprattutto il nostro diritto alla notte, a uscire da sole, quando ci pare, dove ci pare e vestite come ci pare, e sì, anche a costo di metterci a repentaglio, perché rivendicare un diritto a volte implica anche correre dei rischi. Naturalmente, trovo che sia ben diverso correre un rischio per incoscienza o farlo con la consapevolezza del perché, del come, e valutando sempre le circostanze. Detto tra noi, comunque, penso che chiunque debba agire come meglio crede, e forse non condanno neppure l’incoscienza occasionale.
E’ per questo che non credo aprioristicamente alle regole e non difendo nessun assolutismo.
Una delle cose che più mi appaga nella vita è passeggiare ascoltando la musica in cuffia, insieme con quella sensazione di empoderamiento derivante dalla pratica femminista: così pure Lago Agrio finisce per sembrarmi un bel posto.
Qualche giorno dopo
Succede che il tipo del catcalling quotidiano all’angolo tra l’Avenida Quito, la Petrolera e la Circumvalación mi si avvicina per chiedermi - sinceramente sorpreso - porque estoy tan picada. Reaziono in una maniera che stupisce anche me: decido di non tirare dritto né liquidarlo con una risposta sentenziosa, ma - con una quantità di pazienza di cui non sapevo di disporre - inizio a spiegargli pacatamente i motivi per cui ciò che sta facendo è sbagliato nei miei confronti e nei confronti di tutte le donne che starà molestando. Intuisco la sua mancanza di istruzione non solo dal fatto che faccia il lavavetri al semaforo e dalle poche parole rivoltemi, ma dal suo linguaggio del corpo: per la prima volta lo osservo in maniera ravvicinata ed è quando la collera lascia spazio all’indulgenza. E’ giovane ma deve aver vissuto qualche esperienza traumatica che lo ha fatto invecchiare rapidamente, mi ascolta assorto - o almeno così sembra - mentre con termini e concetti elementari provo a dargli una lezione di femminismo callejero.
Trovo avvincente questo esercizio di semplificazione, questo uscire dai miei schemi, dalle argomentazioni complesse, dalle disquisizioni accademiche, dalla mia inutile laurea in studi di genere, dalla saggistica e dalle retoriche del femminismo bianco europeo; sapevo che, arrivata qui, avrei dovuto chiudere un occhio e a volte pure due, non per diventare cieca dinanzi al machismo, ma per imparare a usare gli altri sensi a mia disposizione: sia chiaro, questa espressione è un tentativo di poetizzare un bisogno.
Il bisogno in questione è di acquisire la capacità di contestualizzare, per non sentirci frustrat3 ma soprattutto per non finire ingabbiat3 nelle nostre teorie che qui perdono di validità, perché non ha senso provare a vendere dei libri senza prima insegnare a leggere, non ha senso la teoria senza la pratica.
E, nella pratica, forse qui comprendo davvero cosa voglia dire la parola intersezionalità.
La mia lezioncina dura poco e sortisce effetto, concludo stringendogli la mano:
“Encantada, me llamo Alice, ahora me puedes saludar.”
“Un gusto, mi nombre es Kevin.”
https://open.spotify.com/intl-it/track/7EyxPSFqNn0ESSLoHDFeZ6?si=62fb1911d9d54015

